Il 6 maggio 1976, alle ore 21:00:12 locali, il Friuli-Venezia Giulia fu colpito da uno dei terremoti più distruttivi della storia recente italiana.
L'evento, di magnitudo 6.5 Mw, ebbe epicentro nella zona fra Artegna e Gemona del Friuli.
Le conseguenze furono drammatiche: quasi 1.000 vittime, migliaia di feriti, più di 100.000 sfollati e oltre 45.000 edifici danneggiati o distrutti.
Caratteristiche sismiche
- Magnitudo: 6.5 Mw
- Epicentro: tra Gemona del Friuli, Artegna e Bordano
- Profondità ipocentrale: circa 6 km
- Tipologia di faglia: movimento di tipo inverso lungo una serie di strutture appartenenti al sistema delle Alpi Carniche e Giulie.
- Durata percepita: circa 60 secondi.
Il meccanismo focale indica una compressione orientata nord-sud, coerente con le spinte tettoniche generate dalla convergenza tra la placca africana ed eurasiatica.
Sequenza sismica
L'evento principale fu seguito da una lunga e complessa sequenza di repliche (aftershocks), alcune delle quali particolarmente forti come quelle dell' 11 e 15 settembre 1976. Questi ultimi due eventi, rispettivamente di magnitudo 5.6 e 5.9, provocarono ulteriori crolli e aggravamenti dei danni. La sequenza sismica proseguì con centinaia di scosse minori fino al 1977.
Questa persistenza di attività sismica causò enormi difficoltà nella gestione della ricostruzione e dell’assistenza agli sfollati.
Effetti al suolo
- Distruzione totale di interi centri abitati (ad esempio Venzone, Gemona, Osoppo, Artegna, Buja).
- Frane e dissesti idrogeologici diffusi.
- Liquefazione in alcune aree ghiaiose e alluvionali.
- Danni alle infrastrutture viarie, ferroviarie ed energetiche.
Le costruzioni storiche, soprattutto in pietra non armata, risultarono particolarmente vulnerabili.
Le accelerazioni al suolo stimate (PGA) superarono localmente 0,35g, valori molto elevati per il contesto italiano.
La risposta e la ricostruzione
La gestione dell’emergenza nel 1976 pose le basi per una nuova concezione della protezione civile italiana da cui nacque una risposta coordinata Stato-Regione-Comuni.
Fu uno dei primi esempi di autogestione locale della ricostruzione, con un forte coinvolgimento dei cittadini. Si avviarono nuovi studi sismologici e geotecnici, rafforzando la necessità di normative antisismiche più severe.
Il terremoto del Friuli segnò una svolta nella cultura tecnica italiana, introducendo principi che ancora oggi regolano la sicurezza edilizia in zona sismica.
Impatto scientifico
Dal punto di vista geologico e sismotettonico, il terremoto del Friuli ha avuto un impatto importante:
- Miglioramento delle conoscenze sulle strutture attive nell'arco alpino meridionale.
- Sviluppo della sismologia moderna italiana, con l’installazione delle prime reti sismiche digitali locali.
- Approfondimento delle dinamiche di fagliazione complessa in sistemi montani compressivi.
Il Friuli-Venezia Giulia è una regione ad alta pericolosità sismica e il terremoto del 6 maggio 1976, a 49 anni di distanza, resta una pietra miliare nella storia della sismologia e della protezione civile italiana, non solo per la tragedia che rappresentò, ma per il grande insegnamento che lasciò, ossia, comprendere il territorio, studiarlo con rigore scientifico, e costruire con responsabilità. Questi sono importanti strumenti per ridurre il rischio sismico e proteggere le future generazioni.