Tsunami: echi del passato e allerta per il futuro
Gli tsunami, o maremoti, rappresentano una delle manifestazioni più antiche e impressionanti della dinamica terrestre con onde di straordinaria lunghezza, causate da rapidi spostamenti verticali del fondale, capaci di viaggiare in mare aperto a centinaia di chilometri orari e di trasformarsi in vere e proprie muraglie d’acqua al contatto con la costa. In questo articolo ripercorriamo insieme i principali tsunami degli ultimi decenni e, tornando alle origini, esploriamo le tracce lasciate da giganteschi paleotsunami nel passato remoto della Terra, valorizzando il bagaglio di conoscenze e tecniche accumulate nel tempo.
I grandi tsunami degli ultimi decenni
22 maggio 1960 – Cile (Terremoto di Valdivia, Mw 9.5)
Il più potente terremoto mai registrato scatenò onde alte fino a 25 metri lungo la costa cilena. Dopo aver demolito interi villaggi, il maremoto attraversò il Pacifico, investendo Hawaii (onde fino a 11 m) e giungendo fino al Giappone e alle Filippine
27 marzo 1964 – Alaska (Good Friday earthquake, Mw 9.2)
Con una durata di oltre quattro minuti, il sisma generò onde imponenti fino a 67 metri a Shoup Bay (Valdez Inlet), causate in buona parte da grandi frane sottomarine. Onde più modeste (3–15 m) colpirono la Columbia Britannica e la costa occidentale degli USA, provocando 139 vittime totali
26 dicembre 2004 – Oceano Indiano (Sumatra Mw 9.3)
Il devastante tsunami indiano è stato un “tele-tsunami” capace di colpire 14 Paesi e causare circa 230.000 morti. A Sumatra si registrarono run-up fino a 30–50 metri, mentre in Sri Lanka e Thailandia le onde superarono i 10 metri; oltre l’intero oceano, si rilevarono onde di circa 1 metro in Africa orientale
11 marzo 2011 – Giappone (Terremoto di Tōhoku, Mw 9.0)
Il sisma più forte nella storia giapponese innescò tsunami fino a 40 metri a Miyako (Iwate Prefecture) e onde che si espansero per 10 chilometri nell’entroterra, spazzando interi centri urbani e provocando la crisi nucleare di Fukushima; all’estero si osservarono onde di 2–4 m sulla costa cilena e lungo il Pacifico americano

Echi antichi: tracce di tsunami preistorici
Storegga Slide (circa 6225–6170 a.C.)
Tre giganteschi frane sottomarine al largo della Norvegia mobilitarono circa 3.500 km³ di detriti, generando paleotsunami che depositarono sedimenti fino a 29 chilometri nell’entroterra scozzese e 4 metri sopra l’attuale livello di marea
Alluttoq Island, Groenlandia (circa 5650 e 5350 a.C.)
Due grandi frane costiere produssero onde megatsunami con run-up stimati tra 41 e 45 metri lungo lo stretto di Sullorsuaq, lasciando chiare tracce sedimentarie in fiordi e lagune dell’isola
Circa 1800 a.C. – Cile
Un terremoto di magnitudo circa 9.5 generò onde alte 15–20 metri lungo 1.000 chilometri di costa atacama, inducendo l’abbandono temporaneo dei primi insediamenti umani fino al ritorno, secoli dopo, sulle aree costiere
Circa 1600 a.C. – Grecia (eruzione minoica di Santorini)
L’esplosione del Thera scatenò tsunami che danneggiarono insediamenti sulla costa orientale di Creta; le evidenze archeologiche documentano innalzamenti di un paio di metri di sedimenti e detriti marini sotto le rovine minoiche

L’evoluzione degli studi e dei sistemi di allerta
Fin dai primi racconti dei navigatori, la comprensione dei maremoti si è basata sull’osservazione diretta delle variazioni del mare. Nel secolo scorso:
- Reti sismiche globali (inizio XX sec.) hanno reso possibile individuare in tempo reale i terremoti sottomarini.
- Mareografi costieri e boe DART (Doppler Alerting Real-Time buoys) monitorano le variazioni di pressione sotto il pelo d’acqua, trasmettendo via satellite le anomalie di livello.
- Pacific Tsunami Warning Center, istituito nel 1949, coordina le allerte in tutto l’Oceano Pacifico, perfezionando nel tempo algoritmi predittivi e protocolli di evacuazione.
- Centro Allerta Tsunami – INGV, operativo dal 2005 all’interno dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, si occupa del monitoraggio sismico e della modellazione degli tsunami nel Mediterraneo e nel bacino italiano, integrando dati in tempo reale e collaborando con reti europee per garantire allerte rapide alle autorità locali.
- Sistemi di modellazione numerica, oggi basati su bathimetrie dettagliate e simulazioni a multiscala, permettono di prevedere run-up e tempi di arrivo con precisione sempre maggiore.
Questi strumenti, uniti a campagne di informazione tradizionali (prove di evacuazione, cartellonistica, sirene), incarnano l’eredità dei metodi consolidati, arricchiti dalle tecnologie odierne.
Dallo spaventoso impatto del maremoto del Cile del 1960 alle epiche onde paleolitiche dello Storegga, la storia degli tsunami ci insegna che conoscere il passato è la miglior difesa per il futuro. Studi geologici, tecnologie tradizionali e innovazioni digitali si intrecciano in un continuum di sapere che ci permette di affinare le strategie di allerta e di salvare vite umane. Perché, come si diceva una volta, “chi sa, previene” – e in questo caso, ogni dato raccolto e ogni lezione appresa valgono più di qualsiasi barriera fisica.
